È un grido di collera, di orgoglio e di amore quello lanciato dalle migliaia di donne che il 13 febbraio, da Palermo a Torino, scenderanno in piazza per dire “basta” ai continui intrecci tra sesso e politica, ai bunga-bunga, al degrado della figura femminile e allo sfruttamento della sua immagine.
È un grido che viene da lontano e che si è nutrito delle storie delle varie Noemi, Patrizia e Ruby, dei festini ad Arcore e dalle frasi ad effetto “È più bella che intelligente”. L’appello alla mobilitazione ha raccolto oltre 51’000 firme in meno di una settimana: donne di destra e di sinistra, giovani e meno giovani, cattoliche o atee, unite dietro al motto “Se non ora, quando?”.
«Questa manifestazione è l’espressione di una frustrazione, di un disorientamento collettivo», spiega Nicoletta Dentico, giornalista e presidente di Filomena, una delle associazioni promotrici dell’iniziativa. «L’Italia è ostaggio di un messaggio sub-culturale che fa della donna un gingillo, un trastullo non pensante. Così si fanno i soldi, così si ottiene maggiore visibilità. Per molte giovani, questo è ormai diventato un progetto di vita ambito».
La manifestazione – ci tiene a sottolineare Nicoletta Dentico – non viene fatta dalle donne contro altre donne, per giudicarle o dividerle in buone e cattive, ma «raccoglie sensibilità e orientamenti diversi».
In Svizzera l’evento è sostenuto dall’associazione ADISPO che da anni si batte per l’affermazione e il riconoscimento delle donne italiane emigrate. «La Svizzera ha fatto passi da gigante in questi ultimi 40 anni, da quando le donne hanno acquisito il diritto di voto e questo ha influenzato molto anche la percezione di coloro che sono emigrate dall’Italia», ci spiega la presidente Angela Carlucci. «Ma il legame con la cultura di origine è ancora molto forte ed è normale le donne italiane si identifichino in ciò che sta accadendo e che sentano il bisogno di esprimere la loro indignazione».
Indagato dalla procura di Milano per ricorso alla prostituzione minorile e concussione, relative al cosiddetto RubyGate, il premier Silvio Berlusconi si trova così a dover combattere contro un numero crescente di donne indignate e offese. Quelle stesse donne che forse, a più riprese, lo hanno sostenuto in qualità di leader della nazione e del popolo.
«Era tanto che aspettavo la nascita di un movimento come questo», ammette Anna Rüdeberg-Pompei che da diversi anni risiede in Svizzera ed è una delle otto donne (su 94 membri) a rappresentare il Consiglio generale degli italiani all’estero (CGIE). «Forse questa non è l’occasione migliore in assoluto, ma è probabilmente un buon punto di inizio. Ciò che umilia le donne – e in fondo anche tutti gli italiani di “buona volontà” – è questa forma di abuso e sopruso del corpo della donna, della femminilità nella sua sacralità».
Da anni, ormai, in Italia si susseguono i dibattiti sulla crisi dei valori, sul problema di una meritocrazia zoppicante e su questo scambio tra sesso, denaro e potere, che sembra essere diventato uno dei campi di reclutamento.
«Fino a pochi anni fa le donne erano scelte perché hanno avuto il coraggio e il desiderio di fare politica. Si sono preparate, hanno lottato. E ce ne sono molte, soprattutto a livello regionale», afferma Anna Rüdeberg-Pompei. «Purtroppo, però, ora ci troviamo di fronte a veline o soubrette chiamate a rappresentare i cittadini senza alcun merito né preparazione. È come un atto di sabotaggio nei confronti delle giovani generazioni. E le donne italiane –almeno quelle che hanno sempre lavorato – non se lo meritavano proprio».
Poco rappresentata ai vertici della politica o dell’economia, la donna italiana si trova confrontata a un mondo del lavoro che le è ostile e a una politica sociale che non aiuta forzatamente a conciliare lavoro e vita famigliare. Stando ai dati Eurostat, nel 2009 tra le donne dai 15 ai 24 anni il tasso di disoccupazione era del 76,1%, contro il 31,3% in Svizzera.
Il rapporto del Forum economico mondiale sul divario di opportunità tra uomini e donne mette in evidenza come nel 2010 l’Italia abbia perso altri due punti e si trovi attualmente al 74esimo posto (su 134), superata da molti paesi in via di sviluppo come Mozambico (22) o Botswana (62).
«L’Italia, di fatto, non è un paese per donne!», afferma con enfasi Nicoletta Dentico. «Le donne normali non si vedono, non hanno storia, non hanno narrazione in questo paese». La loro rivendicazione è chiara, le fa eco Angela Carlucci, presidente di ADISPO: «La dignità delle donne è la dignità di ogni nazione. Noi chiediamo a tutte le donne, senza alcuna distinzione, di difendere il valore della loro, della nostra dignità e invitiamo gli uomini a dimostrare amicizia verso di esse. Maschi e femmine si nasce, uomini e donne si diventa».
L’appello alla mobilitazione del 13 febbraio non sembra però ricalcare forzatamente l’opinione delle giovani generazioni. Stando a un sondaggio pubblicato dal quotidiano La repubblica, tra le ragazze di età compresa tra i 18 e i 29 anni, soltanto il 37% si dice indignata dai comportamenti di Silvio Berlusconi, contro il 51% degli uomini.
Una parte delle donne sembra analizzare le vicende del Cavaliere da un punto di vista diverso, quasi fossero una cornice liberatoria inevitabile dell’emancipazione femminile. C’è perfino chi, tra le donne, ha definito l’iniziativa “bacchettona” e “parruccona”, difendendo il diritto di liberarsi dai “pudori del tradizionalismo”.
Un’altra faccia del femminismo contemporaneo? Nicoletta Dentico non ne è convinta. «La televisione ha in qualche modo normalizzato lo sguardo maschile sul corpo della donna e le ragazze hanno interiorizzato quello sguardo. Se pensiamo che circa 20’000 giovani hanno partecipato all’ultimo provino per Striscia la notizia, è facile immaginare quanto si identifichino ormai in questa sub-cultura. L’orizzonte della nostra sfida è proprio questo: andare a parlare alle ragazze, alle madri che le accompagnano a questi provini e che condividono e alimentano le loro speranze di diventare una star».
Il 13 febbraio, in oltre cento piazze d’Italia, migliaia di donne scenderanno in campo per esprimere la loro forza e determinazione, fiere ed orgogliose. «Guai, però, se questo fosse solo un evento, soltanto un’espressione di indignazione», conclude Nicoletta Dentico. «L’indignazione è sacrosanta, è un passaggio inevitabile, ma bisogna rafforzare il concetto di azione. Da questo evento deve partire una piattaforma di lavoro che ci trovi unite in questa battaglia per dare una svolta al paese».
E se la manifestazione di domenica sarà anche un grido di indignazione per una cultura in cui queste donne non si riconoscono più, è proprio da uno dei grandi scrittori italiani contemporanei che le promotrici hanno attinto nella scelta del loro slogan. Scriveva, infatti, Primo Levi: “Se io non sono per me, chi sarà per me? Ma se io sono solo, che cosa sono io? E se non ora, quando?”.
Stefania Summermatter, swissinfo.ch
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