Berna – ottobre 2009: La Svizzera è molto tradizionale per quel che riguarda il binomio lavoro e famiglia. Questa situazione statica ha come conseguenza la diminuzione del numero delle nascite. Per puntare verso un futuro di progresso necessitiamo di una vera politica famigliare come quella che troviamo nel Quebec, nei Paesi Scandinavi e in Francia. La Svizzera deve evolvere ed entrare in una fase di modernizzazione portatrice di ricchezza non solo materiale ma anche personale, interrogandosi dapprima sul tema di attualita’ scottante del congedo paternità retribuito.
L’Ufficio federale di statistica ha effettuato uno studio su come gli svizzeri conciliano vita famigliare e professionale (Ufficio federale di statistica: Conciliare lavoro e famiglia: la Svizzera nel raffronto internazionale, settembre 2009). I risultati sono ovvi. Le famiglie svizzere con bambini al di sotto dei 6 anni vivono ancora all’età della pietra. Solo nel 3,4% delle famiglie entrambi i partner lavorano a tempo parziale. Nel 45% delle famiglie l’uomo lavora a tempo pieno e la donna a tempo parziale e nel 37% ci si avvale del classico modello dove l’uomo è il solo ad occuparsi del sostentamento materiale della famiglia.
Come adispo ci impegniamo a favore di condizioni di lavoro dignitose per realizzare uno sviluppo sostenibile basato sulle persone. Questa strategia è alla base di una società giusta, equa ed inclusiva, fondata sulla creazione di posti di lavoro, sul rispetto dei diritti umani e dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, sull’accesso alla protezione sociale e al dialogo sociale.
L’arrivo dei bambini influenza radicalmente i modelli di attività e dallo studio si rileva che i modelli più diffusi acquistano sempre più forza. Il risultato è che invece di andare verso un futuro più equilibrato all’interno della famiglia con una suddivisione di tutte le attività retribuite e non, si ritorna ad una situazione dove i ruoli sono definiti drasticamente. L’87% dei padri e solamente il 17% delle madri con uno o più figli che hanno meno di 25 anni, lavorano a tempo pieno. Per contro, il 59% delle madri svolge un’attività professionale a tempo parziale, rispetto al 7,2% dei padri (UFS, 2009).
Le mentalità sempre in primo piano
Non bisogna solo dare la colpa alla mancanza di evoluzione delle mentalità. Queste evolvono e i nuovi modelli famigliari messi in pratica da coppie senza figli ne sono la prova vivente. No, i problemi di fondo sono quelli che oramai tutti conoscono : mancanza di strutture adatte ai bambini, asili nido impagabili, orari di lavoro e scolastici non adatti alle necessità famigliari, la mancanza di riconoscimento sociale del ruolo di padre impedendo a questo un congedo paternità, una fiscalità che penalizza il doppio lavoro delle famiglie.
Donne al lavoro e natalità in aumento
Coloro attaccati ad un modello famigliare classico si pongono la domanda di chi farà i figli se le donne si mettono a lavorare. La realtà è un’altra dietro a queste affermazioni si cela la paura che se le donne lavorano non faranno più figli. Questa affermazione può trovare appoggio dalla reale diminuzione del tasso di natalità europeo. Ma la vera domanda da porsi è se questa diminuzione è dovuta al tasso di attività delle donne. La risposta a questi timori è NO. Non è vero che le donne non faranno più figli e gli esempi qui di seguito lo dimostrano.
Uno Stato intervenzionista e generoso oppure un lavoro flessibile e aperto sono due tipi di organizzazioni statali che favoriscono un alto tasso di fertilità. Il Québec e nei Paesi Scandinavi sono esempi del primo tipo mentre gli Stati Uniti del secondo. Entrambi i sistemi hanno portato ad un aumento del tasso di fecondità (numero medio di bambini per donna in età per procreare) e questo è in continua progressione . In effetti in Québec l’indicatore di fecondità si situa a 1,735 e aumenta ogni anno (+ 16% dal 2001). Negli Stati Uniti, lo stesso tasso è del 2,05, un tasso stabile da una decina d’anni. In Svizzera è nel 2008 di 1,48 e ostenta una leggera progressione del 7,2% dal 2001.
Il Québec si è basato sul modello Scandinavo con un congedo maternità di 1 anno, un congedo paternità di parecchie settimane, gli asili con sufficienti posti e a prezzi abbordabili e una fiscalità che non penalizza le famiglie. Potremmo dire una vera politica famigliare di successo. Inoltre il tasso di impiego femminile ha raggiunto il record che 7 mamme su 10, con bambini al di sotto dei 3 anni, lavorano.
Gli asili nido una necessità
La ricetta è semplice: creare un numero di asili nido, già per neonati, con orari e prezzi adatti e abbordabili per non obbligare un genitore a cessare l’attività professionale. Per quel che riguarda l’Europa i nostri vicini francesi possono vantarsi di un tasso di 1,94 bambini per donna e con un tasso di attività per le donne molto alto (60% delle donne con un bambino di età inferiore ai 3 anni lavora; in Quebec è il 74%). Il numero di asili nido in Francia non è ancora sufficiente ed è questo che spiega il netto aumento del tasso di attività (74%) delle mamme al momento dell’entrata all’asilo (verso i 3-4 anni), quasi quante in Quebec (77%).
In Svizzera osserviamo anche lo stesso fenomeno ma più tardi, quando i bambini hanno meno di 6 anni il tasso è del 65,9% e aumenta fino al 78% al momento della scolarizzazione. Purtroppo, le donne in Svizzera attendono troppi anni prima di reintegrare il mondo del lavoro e questo pregiudica il loro ritorno all’attività occupata prima della vita di mamme.
Le statistiche ci informano inoltre che più aumenta il numero di bambini meno mamme continuano a lavorare. In Francia si è calcolato che per ogni figlio in più diminuisce di 20 punti il tasso di attività. Anche in Svizzera è così (con 1 figlio: 17% delle donne non lavora; con 2 figli: 23 % e con 3 o più figli: 29%). Va sottolineato che, presso i padri non si riscontrano cambiamenti professionali paragonabili riferiti all’età o al numero di figli (Rapporto 2008 dell’Ufficio federale di statistica).
Questa è la sfida che devono accettare le imprese introducendo orari flessibili per permettere di conciliare vita famigliare e professionale.
Qual’è il modello più adatto alla Svizzera?
L’economista francese Béatrice Majnoni d’Intignano chiama «fase transitoria» la sua visione dell’evolvere della vita professionale delle donne affermando che «Il peggior mondo è quello che permette la modernità – lavoro ed educazione – ma mantiene una mentalità tradizionale e ha uno Stato che offre poco aiuto».
Questa fase è caratterizzata da un aumento del tasso di attività delle donne e di un tasso di fertilità decrescente. Le donne accedendo all’istruzione desiderano lavorare dando il loro contributo attivo alla società ma sono confrontate a difficoltà talmente insormontabili per conciliare famiglia e lavoro che le conduce ad avere meno figli.
La Svizzera ha oltrepassato da parecchio tempo la fase tradizionale con un forte tasso di fecondità e un debole tasso di attività femminile (quindi un’educazione limitata delle ragazze, fase in cui si trovano i Paesi nordafricani e i Paesi del Medio Oriente) ma il nostro Paese si trova ancora nella fase di transizione citata sopra.
In uno studio della Goldman Sachs del 2007 (Global Economics Paper) come l’aumento dell’attività femminile porti benessere economico per un Paese: Il PIL della Eurozone aumenterebbe ulteriormente del 13%. Se la Svizzera mostrerà coraggio e adotterà una vera politica famigliare sarà vittoriosa ed entrerà nella fase moderna dove il tasso di attività femminile è elevato e il tasso di natalità è in continuo aumento fino a giungere al tasso naturale di sostituzione che è di 2,1 bambini per donna.
Chiaramente, il modello richiesto esige degli sforzi. Un congedo paternità retribuito di almeno 20 giorni prima di passare ad un congedo parentale pagato per i due genitori e senza ridurre il congedo maternità, il finanziamento a lungo termine e la creazione di strutture di qualità per la cura dei bambini dal primo anno di vita e la flessibilità degli orari di lavoro per entrambi i genitori. E con un tocco di bacchetta magica la suddivisione dei compiti si realizzerà sia per il lavoro retribuito che per i compiti famigliari e casalinghi.
Escludere una parte della forza produttiva della nostra società recherebbe danno a tutta l’economia. La vera parità trai generi ed una vera equità sociale possono essere ottenute solamente creando a livello lavorativo anche per gli uomini condizioni favorevoli per permettere loro di partecipare attivamente alle responsabilità famigliari. Tutti ne usciranno vincenti, la famiglia, la società e l’economia.
Dr. Angela M. Carlucci
Presidente adispo
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