Italia e Svizzera nel Global Gender Gap Report 2011 (WEF)

Italia e Svizzera nel Global Gender Gap Report 2011 (WEF)

Ginevra – La Svizzera rimane nella top ten in materia di parità dei sessi, ma non migliora la posizione dell’Italia nel Global Gender Gap Report 2011, la classifica stilata ogni anno dal World Economic Forum (WEF) sul divario di opportunità tra uomini e donne. I paesi presi in esame sin dal 2006 sono 135, la Svizzera resta immutata alla 10a posizione e la penisola italiana, nonostante la forma dal femminilissimo tacco, si conferma sul poco lusinghiero 74° scalino della graduatoria, come nel 2010.

In cima alla lista si situano i Paesi scandinavi – Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia, che hanno compensato più dell’80 per cento della disuguaglianza di genere. Ma è una magra consolazione quella di chi sussurra «ma i paesi scandinavi sono un’altra storia», perché l’Italia è preceduta di gran lunga in classifica anche da Burundi (24), Mozambico (26), Botswana (56) e Bangladesh (69). Ritardatari sono l’Arabia Saudita, Mali, Pakistan, Chad e Yemen.

Così commenta Saadia Zahidi, a capo del programma «Donne Leader e Parità di Genere» del World Economic Forum, e co-autrice della classifica: «Nei paesi dove il divario tra i generi è minore, vuol dire che c’è stato un incremento degli elementi della competitività economica. Nel mondo ormai l’attenzione è puntata sulla creazione di posti di lavoro e sulla crescita finanziaria, e l’uguaglianza di genere è la chiave per sbloccare nuove e stimolanti economie».
«I gap di genere si riducono quando i paesi li riconoscono come limiti, e si occupano della loro diminuzione in termini di imperativi sociali ed economici. Con le giuste politiche le cose possono cambiare molto velocemente», aggiunge Laura Tyson, la seconda autrice.

Politiche per la piena partecipazione economica
Per la prima volta, infatti, la graduatoria analizza anche le politiche nazionali che il paese esaminato attua per facilitare la partecipazione femminile alla forza lavoro, e il risultato appare quasi scontato: dove l’impegno politico è maggiore, il divario è minore, e l’economia ne trae vantaggio. Un esempio concreto risiede nel fatto che l’88% delle nazioni che si trovano nelle posizioni più alte della classifica, hanno approvato apposite leggi contro la discriminazione di genere sui luoghi di lavoro, che hanno adottato misure per garantire che le donne abbiano pari accesso alla partecipazione politica ed economica.

In Italia è particolarmente elevato il divario nelle opportunità e partecipazione alla vita economica (90° posto) mentre sono migliori gli esiti per il potere in politica (55° posto) e i risultati nell’istruzione (48° posto).

La Confederazione Svizzera è relegata al 28° gradino per  quanto riguarda la partecipazione delle donne alla vita economica. Mentre per il potere in politica la Svizzera occupa il 13° posto, non è brillante la situazione sotto il profilo dell’accesso all’istruzione, situandosi al 58° posto nella classifica globale.

In ogni caso – interessante e talvolta sorprendente è la classifica dello studio del WEF sulla partecipazione femminile nell’economia:

1 Bahamas
2 Lesoto
3 Mongolia
4 Burundi
5 Norvegia
6 Stati Uniti d’America
7 Svezia
8 Barbados
9 Mozambico
10 Canada
11 nuova Zelanda
12 Finlandia
13 Danimarca
14 Moldavia
15 Filippine
16 Singapore
17 Ghana
18 Australia
19 Gambia
20 Brunei
21 Giamaica
22 Lettonia
23 kazakhstan
24 Islanda
25 Lussemburgo
26 Lituania
27 Paesi Bassi
28 Svizzera

90 Italia

 

Che l’incentivo economico sia strettamente legato all’empowerment femminile è un argomento di grande attualità ed il rapporto 2011 del WEF non fa eccezione. Resta, nonostante tutto, un argomento valido e convincente:

«La competitività di un paese dipende dal talento umano, le competenze, l’istruzione e la produttività della forza lavoro», scrivono gli autori del rapporto. «Dato che le donne rappresentano la metà della base di potenziali talenti di un paese, la competitività di una nazione, a lungo termine e in modo significativo, è legata al fatto che sia più o meno in grado di educare ed utilizzare le proprie donne».

 

fonte: weforum.org