Migrazioni al femminile: il ruolo delle donne nelle comunita’ italiane all’estero

Gli studi sulla storia dell’emigrazione italiana al femminile sono iniziati da pochi decenni e gia’ si profila l’utilita’ di comparare il vissuto delle connazionali emigrate all’estero con le vicende delle straniere che vivono in Italia. Parte da queste premesse la ricerca di Francesca Massarotto, giornalista e storica dell’emigrazione italiana al femminile, sulle donne migranti, pubblicata da “Servizi migranti”, rivista della Fondazione Migrantes.

Le connazionali all’estero rappresentano il 45% dell’intera collettività espatriata stimabile attorno ai 27 milioni, mentre le straniere in Italia sono il 49,9% dell’immigrazione complessiva pari a 3.035.000. Nonostante la rilevanza numerica, tuttavia, la figura femminile è diventata tema da discutere soltanto dopo la 1° Conferenza “Donna italiana in emigrazione”, svoltasi a Roma nel novembre ’97.

Dalla fine dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento le italiane partivano verso le Americhe con tutta la famiglia. La donna non aveva possibilità di decidere: doveva seguire la volontà del marito, dei fratelli, dei genitori. Nel dopoguerra molte connazionali espatriarono per raggiungere i mariti o i
fidanzati in attesa di matrimonio. Nei Paesi europei arrivarono a decine di migliaia anche giovani sole, spesso minorenni, per lavoro. In ogni luogo di emigrazione l’arrivo della donna è stato un fattore determinante per l’equilibrio della comunità.

In Europa e negli Stati Uniti i primi flussi italiani erano soprattutto di manovali precari e stagionali i quali, finito il lavoro, tornavano a casa o vagavano alla ricerca di nuove occupazioni. Gli uomini soli vivevano ammassati in camerate e baracche di prima accoglienza, dove dormivano e cucinavano insieme, attendendo il momento di poter tornare in patria. Soli e sradicati, i lavoratori italiani erano visti con sospetto dalle popolazioni locali e fatti oggetto di pregiudizi pesanti. Le donne cambiarono la composizione di queste collettività, rendendole permanenti, basate sulla famiglia e sulla salvaguardia delle proprie origini.

La massiccia presenza di tante famiglie e il diffondersi di negozi e quartieri italiani in tanti continenti, ha costretto governanti e amministratori a provvedere ad alloggi decorosi, a leggi per favorire i ricongiungimenti familiari, ad asili e scuole per bimbi stranieri, a servizi sanitari adeguati, ad opportunità di inserimento lavorativo e tutele sociali. Infine, hanno dovuto concedere anche la presenza di chiese etniche, affinché i connazionali potessero continuare a pregare nella loro lingua e a portare i figli al catechismo e alla comunione. Tutte opportunità che anche gli immigrati e le immigrate chiedono oggi a noi.

Come le straniere che oggi lavorano in Italia, le italiane hanno svolto all’estero i lavori più umili, marginali e sottopagati (erano serve, badanti, donne di pulizia, operaie generiche, contadine, cuoche, sguattere) contribuendo con il loro lavoro al risparmio domestico. Al contrario di quante arrivano oggi, la gran parte delle connazionali era senza qualifiche professionali e titoli di studio.

Nelle liste d’espatrio per professione compilate dalle questure italiane nel 1948-’49, la voce “domestica”o “casalinga” rappresentava il 25% dell’intera emigrazione. Le donne che partivano erano più numerose degli operai, dei minatori, dei muratori, fabbri o carpentieri. Venivano registrate sui passaporti “in condizioni non professionali” o come “personale di servizio e fatica”.

In Svizzera, nel secondo dopoguerra si è realizzata una vera e propria emigrazione femminile di massa: donne giovani, spesso minorenni, partivano sole per aiutare le famiglie in Italia, cui inviavano mensilmente i risparmi. Una volta sposate, non potendo accudire ai figli, mandavano i neonati al paese dai nonni, dove restavano fino all’età della scuola.

In Belgio, in Svizzera, in Germania spesso vivevano in baracche di legno, dove ospitavano parenti e “bordanti”, compaesani soli e senza famiglia che ricevevano cure e alloggio, pasti caldi e biancheria pulita, in cambio di un piccolo contributo in denaro.

Anche oggi, tra le comunità immigrate presenti in Italia, la presenza della donna favorisce stabilità e integrazione. Stanno aumentando infatti ogni anno le richieste di ricongiungimenti familiari, mentre è in crescita il numero dei residenti in Italia da oltre 5 anni. La forte tendenza alla stabilità si rileva anche dall’ alto numero di bambini stranieri che vanno a scuola e all’aumento delle richieste di mutui per l’acquisto di un’abitazione e di prestiti finalizzati ad attività commerciali e artigianali.

Al convegno “Identità, cultura, solidarietà: l’autorità della donna italiana in emigrazione” organizzato nel 2005 a Padova, donne d’origine sarda emigrate in Australia, Stati Uniti, Canada, Francia, Argentina, Belgio e Germania, dopo aver esaminato le esperienze vissute e il ruolo svolto dalla donna italiana in emigrazione, hanno dichiarato: “Noi donne migranti dobbiamo far tesoro della nostra esperienza e pensare alle tante immigrate straniere che oggi cercano, come abbiamo fatto noi, pane e lavoro in altri Paesi.

Francesca Massarotto, giornalista e storica