Nel mese di maggio 2010 si è svolta all’Aia la Conferenza globale sul lavoro minorile, con la partecipazione di circa 450 delegati provenienti da 80 Paesi. Nel corso della Conferenza sono stati presentati i dati del Global Report redatto dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil-Ilo) da cui emerge un rallentamento nella diminuzione del numero di minori coinvolti in attività lavorative (vedi box). Da qui l’impegno dei partecipanti ad avviare una nuova “Road map sul lavoro minorile”, al fine di incoraggiare gli sforzi per il raggiungimento dell’obiettivo fissato dall’Ilo di abolire le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016.
«Il progresso verso questo obiettivo non è uniforme: né abbastanza veloce né abbastanza completo per raggiungere i risultati che ci siamo posti» ha dichiarato il direttore generale dell’Ilo, Juan Somavia, secondo il quale sono necessari «nuovi sforzi su larga scala» e un rilancio della campagna contro il lavoro minorile. La direttrice del Programma internazionale dell’Ilo per l’eliminazione del lavoro minorile (International Programme on the Elimination of Child Labour – Ipec), Costanza Thomas, ha invece illustrato alcune delle principali sfide ancora da affrontare nella lotta contro il lavoro minorile, compresa la portata del problema in Africa. «La maggior parte del lavoro minorile è radicata nella povertà. Dobbiamo garantire che tutti i bambini abbiano la possibilità di andare a scuola, abbiamo bisogno di sistemi di protezione sociale che supportino le famiglie vulnerabili.»
Il parere dei sindacati internazionali
«Dal momento che 215 milioni di bambini sono al lavoro invece di essere a scuola e che circa la metà di loro sono costretti alle forme di lavoro più pericolose e di sfruttamento, la comunità internazionale dovrà portare avanti un’azione molto più vigorosa se si vuole avere la minima possibilità di raggiungere l’obiettivo fissato per il 2016. È uno scandalo internazionale che quasi 40 anni dopo l’adozione da parte dell’Ilo della Convenzione n. 138, riguardante l’età minima per l’ammissione al lavoro, e più di un decennio dopo l’adozione della Convenzione n. 182 sulle peggiori forme di lavoro dei minori, molti bambini e bambine continuino a lavorare nei campi, per strada, nelle fabbriche o come manodopera domestica invece di avere accesso all’educazione». Questo il commento del segretario generale della Confederazione sindacale internazionale (Csi), Guy Ryder, sulla situazione globale del lavoro minorile.
Secondo la Csi, la Road map definita all’Aia riconosce che il migliore approccio per affrontare le forme peggiori del lavoro infantile consiste nell’integrare questi sforzi nel quadro della lotta per l’abolizione del lavoro dei bambini in tutte le sue forme e l’accesso a un’educazione universale gratuita e di qualità per tutti i bambini senza eccezioni. Inoltre, la Road map pone all’attenzione internazionale il settore dell’agricoltura, responsabile del 60% del lavoro minorile, così come il lavoro domestico, fonte di uno sfruttamento in cui le principali vittime sono delle giovani ragazze. Riconosce infine che il fatto di assicurare agli adulti l’accesso a dei lavori dignitosi è cruciale per permettere ai bambini di andare a scuola e di completare la loro educazione.
Le tendenze rilevate dal Global Report
Secondo il Global Report quadriennale sul lavoro minorile, pubblicato recentemente dall’Ilo, nel periodo 2004-2008 il numero complessivo di bambini lavoratori è diminuito del 3% passando da 222 a 215 milioni. Se da un lato risulta positiva la riduzione, dall’altro desta preoccupazione il fatto che il ritmo di riduzione ha segnato un rallentamento. «I progressi verso l’obiettivo di eliminare le forme peggiori di lavoro minorile sono stati disomogenei» rileva l’Ilo, secondo cui «se le tendenze attuali si confermeranno, l’obiettivo del 2016 non sarà raggiunto».La buona notizia è che sono in riduzione le forme più dannose di lavoro e quindi la maggior vulnerabilità dei minori coinvolti. Tuttavia, osserva il Global Report, un numero incredibile di 115 milioni di minori sono tuttora esposti a lavori pericolosi, una definizione spesso usata per descrivere le forme peggiori di lavoro minorile.
Secondo l’analisi dei dati per età e sesso, i maggiori progressi si sono registrati tra i bambini di età compresa tra i 5 e i 14 anni, con una diminuzione dei piccoli lavoratori del 10%. In questa fascia di età, poi, il numero di bambini coinvolti in lavori a rischio è diminuito del 31%. Tra i ragazzini di 15-17 anni invece si è registrato un aumento del lavoro del 20%, con un numero complessivo di lavoratori in questa fascia d’età passato da 52 a 62 milioni.
In generale, il lavoro minorile è diminuito notevolmente tra le femmine (di 15 milioni o 15%) mentre è aumentato tra i maschi (di 8 milioni o 7%).
Per quanto riguarda invece la situazione delle regioni mondiali, l’Asia-Pacifico e l’America Latina-Caraibi confermano una tendenza alla diminuzione del lavoro minorile, mentre l’Africa sub-sahariana ha registrato un incremento sia in termini relativi che assoluti: questa regione è anche quella che presenta la più alta incidenza di bambini che lavorano, con un bambino su quattro coinvolto nel lavoro minorile.
Dr. Angela M. Carlucci
Presidente adispo
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